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lunedì 16 aprile 2012

Immanuel Kant: Risposta alla domanda: che cos' é l'illuminismo?




Nel 1784 il mensile berlinese “Berlinische Monatsschrift” pone agli intellettuali tedeschi una domanda: “Che cosa è l'illuminismo?” (Was ist Aufklärung?).
Questo lo scopo dichiarato: “Illuminare noi e i nostri concittadini. Il rischiaramento di una città grande come Berlino presenterà ostacoli; se però essi sono rimossi, la luce si propagherà non soltanto in provincia, ma anche nell'intero paese. E quanto felici noi saremmo se anche soltanto alcune scintille qui prodotte diffondessero con il tempo una luce sull'intera Germania nostra patria comune!”.
Nel dicembre 1784 Immanuel Kant pubblicò sulla stessa rivista la celebre “Risposta alla domanda: Che cosa è l'illuminismo?”.


L' illuminismo é l' uscita dell' uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità é l' incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi é questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude ! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza ! - é dunque il motto dell' illuminismo. La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo affrancati dall' eterodistinzione ( naturaliter maiorennes ), tuttavia rimangono volentieri minorenni per l' intera vita; e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. E' tanto comodo essere minorenni ! Se ho un libro che pensa per me,un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene, ecc., io non ho più bisogno di darmi pensiero da me. Purchè io sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione.
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E' dunque difficile per ogni singolo uomo districarsi dalla minorità che per lui é diventata pressochè una seconda natura. E' giunto perfino ad amarla, e attualmente é davvero incapace di servirsi del suo proprio intelletto, non essendogli mai stato consentito di metterlo alla prova. Regole e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale o piuttosto di un abuso delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una eterna minorità. Anche chi da essi riuscisse a sciogliersi, non farebbe che un salto malsicuro sia pure sopra i più angusti fossati, poichè non sarebbe allenato a siffatti liberi movimenti. Quindi solo pochi sono riusciti, con l' educazione del proprio spirito, a districarsi dalla minorità e tuttavia a camminare con passo sicuro. Che invece un pubblico si illumini da sè é cosa maggiormente possibile; e anzi, se gli si lascia la libertà, é quasi inevitabile. In tal caso infatti si troveranno sempre, perfino fra i tutori ufficiali della grande folla, alcuni liberi pensatori che, dopo aver scosso da sè il giogo della tutela, diffonderanno il sentimento della stima razionale del proprio valore e della vocazione di ogni uomo a pensare da sè.
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A questo rischiaramento non occorre altro che la libertà ; e precisamente la più inoffensiva di tutte le libertà , quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma da tutte le parti odo gridare : ma non ragionate ! L' ufficiale dice : non ragionate, ma fate esercitazioni militari ! L' intendente di finanza : non ragionate , ma pagate ! L' ecclesiastico: non ragionate, ma credete ! (C' è solo un unico signore al mondo che dice : ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete, ma obbedite!) Qui v' è, dovunque, limitazione della libertà! Ma quale limitazione è d' ostacolo all' illuminismo, e quale non lo è, anzi lo favorisce? Io rispondo : il pubblico uso della propria ragione deve essere libero in ogni tempo , ed esso solo può attuare il rischiaramento tra gli uomini ; invece l' uso privato della ragione può assai di frequente subire strette limitazioni senza che il progresso del rischiaramento ne venga particolarmente ostacolato . Intendo per uso pubblico della propria ragione l' uso che uno ne fa, come studioso , davanti all' intero pubblico dei lettori . Chiamo invece uso privato della ragione quello che ad un uomo è lecito farne in un certo ufficio o funzione civile di cui egli è investito . Ora per molte operazioni che attengono all' interesse della comunità è necessario un certo meccanismo , per cui alcuni membri di essa devono comportarsi in modo puramente passivo onde mediante un' armonia artificiale il governo induca costoro a concorrere ai fini comuni o almeno a non contrastarli . Qui ovviamente non è consentito ragionare, ma si deve obbedire. Ma in quanto nello stesso tempo questi membri della macchina governativa considerano se stessi come membri di tutta la comunità e anzi della società cosmopolitica, e si trovano quindi nella qualità di studiosi che con gli scritti si rivolgono a un pubblico nel senso proprio della parola, essi possono certamente ragionare senza ledere con ciò l'attività cui sono adibiti come membri parzialmente passivi . Così sarebbe assai pernicioso che un ufficiale, cui fu dato un ordine dal suo superiore , volesse in servizio pubblicamente ragionare sull' opportunità e utilità di questo ordine : egli deve obbedire . Ma è iniquo impedirgli in qualità di studioso di fare le sue osservazioni sugli errori commessi nelle operazioni di guerra e di sottoporle al giudizio del suo pubblico. Il cittadino non può rifiutarsi di pagare i tributi che gli sono imposti ; e un biasimo inopportuno di tali imposizioni , quando devono essere da lui eseguite, può anzi venir punito come uno scandalo (poiché potrebbe indurre a disubbidienze generali). Tuttavia costui non agisce contro il dovere del cittadino se, come studioso manifesta apertamente il suo pensiero sulla sconvenienza o anche sull' ingiustizia di queste imposizioni. Così un ecclesiastico é tenuto a insegnare il catechismo agli allievi e alla sua comunità religiosa secondo il credo della Chiesa da cui dipende, perchè a questa condizione egli é stato assunto : ma come studioso egli ha piena libertà e anzi il compito di comunicare al pubblico tutti i pensieri che un esame severo e benintenzionato gli ha suggerito circa i difetti di quel credo , nonchè le sue proposte di riforma della religione e della Chiesa. In ciò non v' é nulla di cui la coscienza possa venir incolpata.
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Se ora si domanda: viviamo noi attualmente in un' età illuminata ? allora la risposta é: no, bensì in un' età di illuminismo. Che nella situazione attuale gli uomini presi in massa siano già in grado, o anche solo possano essere posti in grado di valersi sicuramente e bene del loro proprio intelletto nelle cose della religione , senza la guida d' altri , é una condizione da cui siamo ancora molto lontani. Ma che ad essi , adesso , sia comunque aperto il campo per lavorare ed emanciparsi verso tale stato , e che gli ostacoli alla diffusione del generale rischiaramento o all' uscita dalla minorità a loro stessi imputabile a poco a poco diminuiscano , di ciò noi abbiamo invece segni evidenti . A tale riguardo quest' età é l' età dell' illuminismo , o il secolo di Federico . Un principe che non crede indegno di sè dire che considera suo dovere non prescrivere nulla agli uomini nelle cose di religione , ma lasciare loro in ciò piena libertà , e che quindi respinge da sè anche il nome orgoglioso della tolleranza, é egli stesso illuminato e merita dal mondo e dalla posterità riconoscenti di esser lodato come colui che per primo emancipò il genere umano dalla minorità , almeno da parte del governo, e lasciò libero ognuno di valersi della sua propria ragione in tutto ciò che é affare di coscienza. Sotto di lui venerandi ecclesiastici , senza pregiudizio del loro dovere d' ufficio, possono liberamente e pubblicamente , in qualità di studiosi , sottoporre all' esame del mondo i loro giudizi e le loro vedute che qua e là deviano dal credo tradizionale ; e tanto più può farlo chiunque non é limitato da un dovere d' ufficio .
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Gli uomini si adoperano da sè per uscire a poco a poco dalla barbarie, purchè non si ricorra ad artificiosi strumenti per mantenerli in essa . Ho posto particolarmente nelle cose di religione il punto culminante del rischiaramento, cioè dall' uscita dell' uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso; riguardo alle arti e alle scienze, infatti, i nostri reggitori non hanno alcun interesse a esercitare la tutela sopra i loro sudditi . Inoltre la minorità in cose di religione é fra tutte le forme di minorità la più dannosa ed anche la più umiliante . Ma il modo di pensare di un sovrano che favorisce quel tipo di rischiaramento va ancora oltre, poichè egli vede che perfino nei riguardi della legislazione da lui statuita non si corre pericolo a permettere ai sudditi da fare uso pubblico della loro ragione e di esporre pubblicamente al mondo le loro idee sopra un migliore assetto della legislazione stessa, perfino criticando apertamente quella esistente . Abbiamo in ciò un fulgido esempio, e anche in ciò nessun monarca ha superato quello che noi veneriamo . Ma é pur vero che solo chi, illuminato egli stesso, non ha paura delle ombre e contemporaneamente dispone a garanzia della pubblica pace di un esercito numeroso e ben disciplinato, può enunciare ciò che invece una repubblica non può arrischiarsi a dire : ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete ; solamente obbedite ! Si rivela qui uno strano inatteso corso delle cose umane ; come del resto anche in altri casi , a considerare questo corso in grande , quasi tutto in esso appare paradossale . Un maggiore grado di libertà civile sembra favorevole alla libertà dello spirito del popolo , epperò pone ad essa limiti invalicabili ; un grado minore di libertà civile , al contrario , offre allo spirito lo spazio per svilupparsi con tutte le sue forze . Se dunque la natura ha sviluppato sotto questo duro involucro il germe di cui essa prende la più tenera cura , cioè la tendenza e vocazione al libero pensiero, questa tendenza e vocazione gradualmente reagisce sul modo di sentire del popolo (per cui questo, a poco a poco, diventa sempre più capace della libertà di agire), e alla fine addirittura sui principi del governo il quale trova che é nel proprio vantaggio trattare l' uomo, che ormai é più che una macchina, in modo conforme alla di lui dignità .
Königsberg in Prussia , 30 settembre 1784