De contemptu et odio fugiendo.
[In che modo si abbia a fuggire lo essere sprezzato e odiato]
Ma perché, circa le qualità di che di sopra si fa menzione io ho parlato delle più importanti, l'altre voglio discorrere brevemente sotto queste generalità, che il principe pensi, come di sopra in parte è detto, di fuggire quelle cose che lo faccino odioso e contennendo; e qualunque volta fuggirà questo, arà adempiuto le parti sua, e non troverrà nelle altre infamie periculo alcuno. Odioso lo fa, sopr'a tutto, come io dissi, lo essere rapace et usurpatore della roba e delle donne de' sudditi: di che si debbe astenere; e qualunque volta alle universalità delli uomini non si toglie né roba né onore, vivono contenti, e solo si ha a combattere con la ambizione di pochi, la quale in molti modi, e con facilità si raffrena. Contennendo lo fa esser tenuto vario, leggieri, effeminato, pusillanime, irresoluto: da che uno principe si debbe guardare come da uno scoglio, et ingegnarsi che nelle azioni sua si riconosca grandezza, animosità, gravità, fortezza, e, circa maneggi privati de' sudditi, volere che la sua sentenzia sia irrevocabile; e si mantenga in tale opinione, che alcuno non pensi né a ingannarlo né ad aggirarlo.
Quel principe che dà di sé questa opinione, è reputato assai; e contro a chi è reputato, con difficultà si congiura, con difficultà è assaltato, purché s'intenda che sia eccellente e reverito da' sua. Perché uno principe debbe avere dua paure: una dentro, per conto de' sudditi; l'altra di fuora, per conto de' potentati esterni. Da questa si difende con le buone arme e con li buoni amici; e sempre, se arà buone arme, arà buoni amici; e sempre staranno ferme le cose di dentro, quando stieno ferme quelle di fuora, se già le non fussino perturbate da una congiura; e quando pure quelle di fuora movessino, s'elli è ordinato e vissuto come ho detto, quando non si abbandoni, sempre sosterrà ogni impeto, come io dissi che fece Nabide spartano. Ma, circa sudditi, quando le cose di fuora non muovino, si ha a temere che non coniurino secretamente: di che el principe si assicura assai, fuggendo lo essere odiato o disprezzato, e tenendosi el populo satisfatto di lui; il che è necessario conseguire, come di sopra a lungo si disse. Et uno de' più potenti rimedii che abbi uno principe contro alle coniure, è non essere odiato dallo universale: perché sempre chi congiura crede con la morte del principe satisfare al populo; ma, quando creda offenderlo, non piglia animo a prendere simile partito, perché le difficultà che sono dalla parte de' congiuranti sono infinite. E per esperienzia si vede molte essere state le coniure, e poche avere avuto buon fine. Perché chi coniura non può essere solo, ne può prendere compagnia se non di quelli che creda esser malcontenti; e subito che a uno mal contento tu hai scoperto l'animo tuo, li dài materia a contentarsi, perché manifestamente lui ne può sperare ogni commodità: talmente che, veggendo el guadagno fermo da questa parte, e dall'altra veggendolo dubio e pieno di periculo, conviene bene o che sia raro amico, o che sia al tutto ostinato inimico del principe, ad osservarti la fede. E, per ridurre la cosa in brevi termini, dico che dalla parte del coniurante, non è se non paura, gelosia, sospetto di pena che lo sbigottisce; ma, dalla parte del principe, è la maestà del principato, le leggi, le difese delli amici e dello stato che lo difendano: talmente che, aggiunto a tutte queste cose la benivolenzia populare, è impossibile che alcuno sia sí temerario che congiuri. Perché, per lo ordinario, dove uno coniurante ha a temere innanzi alla esecuzione del male, in questo caso debbe temere ancora poi, avendo per inimico el populo, seguíto lo eccesso, né potendo per questo sperare refugio alcuno. [...]
Parrebbe forse a molti, considerato la vita e morte di alcuno imperatore romano, che fussino esempli contrarii a questa mia opinione, trovando alcuno essere vissuto sempre egregiamente e monstro grande virtù d'animo, non di meno avere perso lo imperio, ovvero essere stato morto da' sua, che li hanno coniurato contro. Volendo per tanto rispondere a queste obiezioni, discorrerò le qualità di alcuni imperatori, monstrando le cagioni della loro ruina, non disforme da quello che da me si è addutto; e parte metterò in considerazione quelle cose che sono notabili a chi legge le azioni di quelli tempi. E voglio mi basti pigliare tutti quelli imperatori che succederono allo imperio da Marco filosofo a Massimino: li quali furono Marco, Commodo suo figliuolo, Pertinace, Iuliano, Severo, Antonino Caracalla suo figliuolo, Macrino, Eliogabalo, Alessandro e Massimino. Et è prima da notare che dove nelli altri principati si ha solo a contendere con la ambizione de' grandi et insolenzia de' populi, l'imperatori romani avevano una terza difficultà, di avere a sopportare la crudeltà et avarizia de' soldati. La qual cosa era sí difficile che la fu cagione della ruina di molti; sendo difficile satisfare a' soldati et a' populi; perché e' populi amavono la quiete, e per questo amavono e' principi modesti, e li soldati amavono el principe d'animo militare, e che fussi insolente, crudele e rapace.[...]
E qui si debbe notare che l'odio s'acquista cosí mediante le buone opere, come le triste: e però, come io dissi di sopra, uno principe, volendo mantenere lo stato, è spesso forzato a non essere buono; perché, quando quella università, o populo o soldati o grandi che sieno, della quale tu iudichi avere per mantenerti bisogno, è corrotta, ti conviene seguire l'umore suo per satisfarlo, et allora le buone opere ti sono nimiche. [...]
Ma torniamo alla materia nostra. Dico che qualunque considerrà el soprascritto discorso, vedrà o l'odio o il disprezzo esser suto cagione della ruina di quelli imperatori prenominati, e conoscerà ancora donde nacque che, parte di loro procedendo in uno modo e parte al contrario, in qualunque di quelli, uno di loro ebbe felice e li altri infelice fine. Perché a Pertinace et Alessandro, per essere principi nuovi, fu inutile e dannoso volere imitare Marco, che era nel principato iure hereditario; e similmente a Caracalla, Commodo e Massimino essere stata cosa perniziosa imitare Severo, per non avere avuta tanta virtù che bastassi a seguitare le vestigie sua. Per tanto uno principe nuovo in uno principato nuovo non può imitare le azioni di Marco, né ancora è necessario seguitare quelle di Severo; ma debbe pigliare da Severo quelle parti che per fondare el suo stato sono necessarie, e da Marco quelle che sono convenienti e gloriose a conservare uno stato che sia già stabilito e fermo.
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